Perché la consulenza psicologica gratuita non è utile all’utente e nemmeno allo psicologo?
Postato da: Nicola Piccinini il 8.10.2012 | 29 Commenti
Parto dalla famosa vignetta di Charles Schulz nella quale Lucy offre un servizio psichiatrico attraverso un banchetto, nel quale oltre all’indicazione della prestazione propone il pagamento di 5 centesimi, ben evidenziato nella scritta pubblicitaria. Il mondo popolato dai bambini nelle vignette di Schulz non dimentica che lo scambio di competenze “professionale” non può essere del tutto gratuito, pretendendo un seppur minimo pagamento alla prestazione offerta. I bambini capiscono molto meglio dei grandi la straordinaria forza del baratto!
Come ho scritto nel titolo, io ritengo che la prestazione psicologica gratuita non è funzionale al cliente ma, soprattutto, ha poca utilità per il professionista che la propone. Per utilità intendo sia in termini di guadagno sia in termini di immagine personale (oltre a quella professionale dell’intera categoria).
Cercherò di descrivere brevemente queste premesse.
Primo aspetto
Noi generalmente valutiamo la nostra motivazione verso una qualsiasi attività in termini di investimento (ne parlarva già Freud all’inizio del secolo scorso). L’investimento non è solo economico, ma anche di tempo, di fatica, di ansia verso una certa attività. Quanto più io sento di aver investito o investirò in un’attività, tanto più riterrò quell’attività importante. Non è solo, come ho scritto, un discorso economico, è soprattutto simbolico: la quantità di energia che io dedico ad un’attività mi da il metro di quanto quella attività vale in termini di utilità e ritorno. Quando penso a questo mi immagino le file interminabili di visitatori ad un museo nel giorno in cui l’ingresso è gratuito e, contemporaneamente, ai musei vuoti in tutti gli altri giorni. Cosa succede? Semplicemente si aderisce alla visita perché non è richiesto nessun investimento e quindi non si cerca da essa nessun ritorno, solo un’opportunità. Io ritengo che la consulenza psicologica o il primo colloquio non sia esente da questo tema perché si tratta pur sempre di una domanda e di una offerta. Sintetizzando potrei dire: “se l’offerta è gratuita, la domanda è, anch’essa, (emotivamente) gratuita…”
Non intendo con questo dire che la persona che cerca una prestazione gratuita non porti con sé un vero disagio, intendo però che quel disagio non può essere realmente messo nella relazione, se non in forma passiva. Si sovverte la domanda di cura: l’utente aderisce al colloquio per capire cosa offre il professionista. Questo significa che il colloquio gratuito facilita ed aumenta, enormemente, le difese e le resistenze alla cura che le persone hanno comunemente nel momento in cui decidono di richiedere una prestazione psicologica/psicoterapeutica. Nello stesso tempo lo psicologo/psicoterapeuta si trova, a mio avviso, in una grande e grave difficoltà nel gestire un colloquio gratuito: ha davanti a sé una persona alla quale deve dire che ha un problema e magari proporgli una continuazione del percorso a pagamento. Non è più l’utente che chiede aiuto ma il terapeuta che chiede al paziente se vuole essere aiutato. È lo psicologo/psicoterapeuta che deve attivare una domanda di aiuto nel paziente. Personalmente ritengo clinicamente inadeguata una simile offerta professionale.
Altra questione, forse un po’ più psicoanalitica: molti autori, psicoanalisti, hanno proposto che il transfert (nel senso di relazione fantasmatica con il proprio terapeuta) si avvii già prima del contatto telefonico, le fantasie si creano ancora prima di accedere ad un colloquio; fantasie legate all’idea della cura, alla personalità del terapeuta, al cambiamento, ecc. A questo punto, forse l’unico modo per gestire bene un primo colloquio gratuito sarebbe quello di dedicarlo interamente a comprendere il motivo della scelta di un simile colloquio, il rischio potrebbe essere quello di sentirsi rispondere: “ho scelto di richiedere un primo (o tre colloqui) gratuiti perché lei me li ha offerti…”, oppure: “anch’io mi sono chiesto perché lei offre dei colloquio gratuiti, mi piacerebbe sapere come mai…”
Questa seconda domanda è, a mio avviso, clinicamente importante. In un colloquio a pagamento il rapporto è chiaro: io paziente/utente ho un problema e chiedo un consulto ad un professionista che, immagino, possa aiutarmi. In un colloquio gratuito il rapporto rischia di essere un po’ meno chiaro, direi ambiguo: io paziente/utente ho un problema e chiedo, ma soprattutto mi chiedo; perché il professionista non si fa pagare? Per chi crede che esista un inconscio questa seconda dinamica sarebbe molto complessa da gestire, le fantasie dal paziente potrebbero essere tante: il terapeuta è generoso, è giovane, è inesperto, ha un secondo fine, mi vuole convincere a fare un percorso costoso, ecc.
Secondo aspetto
Mi sono sempre chiesto, nello stesso tempo, se la proposta di un primo colloquio gratuito avesse un effetto positivo nell’avviare un percorso psicoterapeutico. Aggiungo subito che ho sperimentato personalmente questa proposta. All’inizio della mia attività (fine anni novanta) per diversi anni ho offerto, attraverso il mio sito personale, un servizio di consulenza gratuita, in sostanza proponevo un primo colloquio di 50 minuti gratuito previa compilazione di un modulo on-line.
Non ho un dato statisticamente significativo, ma una notevole esperienza in merito. La mia esperienza è che di circa 70 richieste ricevute, solo “una” persona ha continuato un percorso dopo un primo colloquio gratuito, una buona parte degli utenti ha svolto il primo colloquio e basta e una altrettanto considerevole parte degli utenti non si è presentata nemmeno al primo, alcuni senza neppure avvisarmi. Naturalmente la spinta verso questa iniziativa aveva una base coerente. Pensavo, come molti, che la psicologia non era ancora molto conosciuta, molte persone non sapevano esattamente cosa succedeva all’interno di un colloquio, non sapevano se sarebbe stata efficace e soprattutto vi era ancora molta paura all’idea di accedere ad una esperienza psicoterapeutica, pensando di essere etichettati come “malati mentali.” Per questi motivi ritenevo che un primo colloquio gratuito poteva facilitare l’accesso ad una esperienza nuova e, per molti, realmente enigmatica.
Questa è la mia esperienza personale, mi piacerebbe condividere con quanti di voi hanno svolto o svolgono colloqui gratuiti se vi è stato un ritorno in termini di avvio di un vero e proprio processo psicoterapeutico. È anche probabile che la mia difficoltà (e ambivalenza) a sostenere un colloquio gratuito abbia influenzato l’avvio di un possibile percorso, come vedete, mi pongo molte domande.
Terzo ed ultimo aspetto
Il colloquio gratuito credo che influisca in modo significativo sull’immagine sociale della nostra professione. Mi chiedo: la proposta di un’attività gratuita, soprattutto così professionalizzante come un colloquio clinico, non rischia di svalutare gli strumenti che lo psicologo ha a disposizione, facendoli apparire risorse di poco valore?
Sappiamo quanto sia difficile per la nostra professione far passare il concetto che un colloquio psicologico sia una competenza “altamente specializzata”, quanti anni di studio ci sono voluti per acquisire tali competenze, sappiamo inoltre che molte persone ritengono il colloquio uno strumento semplice: “che ci vuole, siamo tutti un po’ psicologi, basta ascoltare una persona con sensibilità ed empatia”, queste spesso sono le frasi che sentiamo tra amici e parenti. Se in rete, o in locandine, o addirittura con iniziative promosse direttamente dagli Albi professionali, viene fuori che si possono proporre uno o addirittura tre colloqui gratuiti, non pensiamo che il tempo del professionista in fondo non vale molto o addirittura non vale per nulla?
Naturalmente vi sono molte eccezioni alla proposta di un intervento gratuito, penso ad esempio all’attività all’interno di una associazione non a scopo di lucro, oppure alle iniziative come ad esempio “mese del benessere psicologico” nelle quali l’obiettivo è realmente quello di far conoscere la psicologia ad una utenza di massa, o ancora attività presso istituzioni (università, scuole di specializzazione, master, ecc.). Vi sono tante situazioni nella quali potrebbe essere giustificata una prestazione gratuita. Anche se dobbiamo fare attenzione alla differenza tra una prestazione gratuita a scopo formativo o sociale da tutte quelle attività di sfruttamento della nostra professione che molti utilizzano sapendo che in fondo gli psicologi, pur di fare esperienza, accettano simili proposte “lavorative”.
Concludendo, come ho più volte espresso in questa nota, queste sono le mie idee che non hanno, ovviamente, la pretesa di essere vere per tutti. Penso soltanto che la nostra professione è molto complessa ed è necessario cercare il più possibile di maturare una propria riflessione prima di proporre un qualche tipo di intervento. Per questo motivo mi piacerebbe avere molti feedback, magari qualcuno che racconti la propria esperienza in merito, così da condividere insieme un pensiero complesso su un tema così importante.
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